Una nuova formula per il Sud

 

Di Carlo Pelanda (17-10-2009)

 

Il sottosviluppo del Sud non ha soluzioni di Stato, ma solo di mercato. Sarebbe ora che ci dicessimo questa verità allo scopo di cancellare l’illusione che per risolvere i problemi del Meridione ci vogliano più soldi pubblici.  Anche se lo Stato spendesse 10 volte di più, ma senza “portare mercato”, il Sud resterebbe sottosviluppato e disperato. Bisogna voltare pagina e trovare una nuova formula per il Sud massimizzata per portarvi mercato e capitale privati: (a) competitività per differenziale di costo; (b) nuova politica europea per le aree marginali; (c) formazione del mercato mediterraneo; (c) riallocazione delle risorse pubbliche dall’assistenza all’investimento.

Dai primi anni ’90 la “globalizzazione” ha trasformato circa due miliardi di persone da povere in ricche. Come? Il capitalismo competitivo ha trasformato la povertà in fattore concorrenziale. Alla ricerca del profitto e di più vendite gli attori economici hanno spostato capitali e competenze dai luoghi ad alto costo a quelli dove era più basso. Per semplificare, il capitalismo, entro un’architettura di libero mercato concorrenziale, compra la povertà per trasformarla in fattore di ricchezza. Non piacerà agli statalisti di sinistra e di destra, come non è piaciuto alla “Banca mondiale” e all’Onu, vedere che il capitale privato ha risolto in un lampo i problemi che quello pubblico internazionale destinato a sviluppare i Paesi poveri non è manco riuscito ad intaccare in decenni, ma questa è la realtà. Per sviluppare l’area costiera della Cina, poverissima e densa di mafie, il governo non ha fatto megainvestimenti di capitale statale, infrastrutture a parte, ma ha semplicemente aperto il mercato affinché vi potesse essere l’effetto dei differenziali di costo. Il Sud italiano ha la “fortuna” di avere costi di produzione potenzialmente riducibili del 30% in relazione a quelli medi europei. Basterebbe ridurre anche quelli fiscali (sulle imprese e sul lavoro) e aprire il mercato al mondo. Con tale differenziale competitivo ci penserà poi il mercato a fare tutto il resto scontando la prospettiva di profitto differenziale e investendone un tot in anticipo. In tal modo arriverà il capitale privato, le banche al seguito, ed il mercato autosostenuto senza bisogno di continuo finanziamento assistenziale. Molteplici proposte in questa direzione sono state bocciate. E’ ora di riproporle espandendo, con determinazione realistica, l’argomentazione qui accennata. Sorprendente che non siano i meridionali a chiederlo. 

Qualora emergesse in Italia la soluzione di competitività territoriale detta sopra, avremmo il problema dell’opposizione da parte della Ue. L’euro è stato fatto anche per impedire la competitività valutaria intraeuropea. Paesi come la Germania e la Francia con modello ad alto protezionismo sociale, e quindi elevati costo del lavoro e tasse, non hanno consenso sufficiente per renderlo flessibile e sono vulnerabili alla concorrenza per costo. Berlino ci dichiarerebbe guerra se riducessimo del 30% i costi di produzione e fiscali nel Sud. Ma nell’omogeneità europea, che ci danneggia avendo mezza Italia sottosviluppata, c’è uno spiraglio fatto di misure speciali per dare competitività alle aree marginali, quali le isole. Inoltre Stati come il Lussemburgo, l’Irlanda, ecc., hanno regimi speciali di favore. Si tratta di fare una politica comunitaria capace di imporre l’interesse nazionale in materia di competitività territoriale, ovviamente bilanciandola con le sensibilità altrui, ma senza rinunciare noi. Dovremmo anche esplorare come il federalismo fiscale potrebbe aiutare questa strategia, in teoria molto.   

Poiché potremo ottenere dall’Europa solo metà di quello che ci serve, l’altra dovremo cercarla con una politica estera che sia generi un mercato mediterraneo sia collochi l’Italia al suo centro, dando alle aree del Sud più opportunità di essere snodi commerciali e luoghi di produzione in esso. La nostra politica estera è su questa linea, ma dovrebbe mettere il turbo.

La quarta azione riguarda l’accelerazione degli investimenti infrastrutturali che riducono i costi sistemici (energia, strade, aeroporti, internet, ecc) riallocando la spesa corrente a loro favore e riducendola per gli interventi assistenziali a pioggia. L’avvio del ponte sullo stretto è ottimo segno in questa logica.  

In conclusione, la nuova formula indica una politica per creare il mercato nel Sud e non per finanziarne l’assenza.

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